La Rotonda
La Rotonda
Portico

Già nella prima metà del XVII sec. i figli di Camillo Silvestri (morto nel 1719) e i familiari di Giovanni Torelli (morto nel 1728) avevano voluto ricordare le benemerenze dei loro congiunti murando sotto il portico della Rotonda delle lapidi celebrative, imitati nel 1788 da Rinaldo Silvestri che volle così ricordare il fratello Girolamo; ma è solo all'inizio del XIX sec. che il peristilio della chiesa diventò luogo dove collocare oggetti marmorei d'ogni genere: come lastre tombali e monumenti funerarii, provenienti dalle chiese, dopo il governo napoleonico che aveva prima proibito la sepoltura all'interno delle chiese, e anche nei centri abitati, e poi aveva soppresso le chiese non parrocchiali e gli ordini religiosi; ma oltre alle memorie provenienti dalle chiese, sotto il portico della Rotonda trovarono collocazione anche iscrizioni celebrative e reperti archeologici. Il portico divenne così, di fatto, una specie di museo cittadino.

Contesto

Memorie marmoree

Una lapide è una stele, una lastra frutto di scultura o una pietra che è posta sopra una tomba e per questo è anche chiamata pietra tombale. La lapide può essere tuttavia sia tombale, quando è posta appunto sopra la tomba, ma anche commemorativa, quando è posta su monumenti o facciate di edifici. In entrambi i casi reca generalmente un epitaffio, cioè' un'iscrizione funebre avente come scopo onorare e ricordare un defunto. Il punto in cui è presente la lapide indica la posizione della testa del defunto e la direzione in cui essa è rivolta indica il modo in cui il defunto è stato sepolto. Possono essere presenti anche elementi di arte funeraria come dettagli in bassorilievo. In molte parti d'Europa al nome del defunto si accompagna, ove disponibile, una fotografia o una scultura. Nel 1971 esso fu parzialmente spogliato perché si pensò di raccogliere il materiale archeologico nei vani semi-interrati del Castello, ma quando fu aperto il Museo civico nell'ex monastero di S. Bartolo (1980), i marmi romani trovarono là migliore sistemazione. Sulle pareti esterne della Rotonda sono rimasti un'ottantina di marmi: di questi, solo cinque destinati fin dall'origine al luogo in cui si trovano ancor oggi (i tre citati ed i due, ai lati della porta principale, che ricordano l'accoglimento dei contadini che fuggivano dall'alluvione dell'Adige del 1882, e i restauri del 1887). Naturalmente non è il caso di soffermarsi su tutti i marmi raccolti lungo i muri della chiesa: basterà segnalare quelli che per varie ragioni si possono ritenere i più significativi.

Basadonna
Basadonna

I Basadonna furono una famiglia patrizia veneziana, annoverata fra le cosiddette Case Nuove. Le cronache tradizionali ritengono che la famiglia Basadonna fosse di origine romana. Fuggiti da Altino a seguito del terribile saccheggio del 452 compiuto dagli Unni di Attila, i Basadonna si sarebbero stabiliti inizialmente sull'isola di Burano. Altre fonti, invece, li fanno giungere a Burano da Muggia, esercenti l'attività mercantile. Membri del Maggior Consiglio prima della serrata, vi rimasero anche dopo il 1297. Diedero a Venezia alcuni tribuni. Apparteneva a questo casato la nobildonna Maria Basadonna, madre dell'ultimo doge Lodovico Manin. Ancora presenti in seno al Maggior Consiglio nel 1797 anno della caduta della Serenissima, i Basadonna non compaiono, tuttavia, tra le famiglie confermate nobili dal Governo imperiale austriaco.
Pietro Basadonna (Venezia, 17 settembre 1617; Roma, 6 ottobre 1684) è stato un cardinale italiano. Fu zio del cardinale Luigi Priuli e avo di Lodovico Manin, ultimo doge della Repubblica Veneta. Nato a Venezia da una famiglia di antica nobiltà, il giovane Pietro ricevette un'ottima educazione, e di lui si sa che fu abile studioso dell'Antica Grecia. Nella sua città fu famoso oratore, e ricoprì gli incarichi di ambasciatore veneziano presso la corte di Spagna e presso la Santa Sede. Successivamente, fu onorato dal Maggior Consiglio con la prestigiosa nomina a Procuratore di San Marco. Ottenne il cappello cardinalizio al concistoro del 12 giugno 1673, indetto da papa Clemente X, e ricevette la diaconia di Santa Maria in Domnica il 15 gennaio 1674. Lo stesso 12 giugno 1673 aveva ricevuto la dispensa papale per poter ricevere il cardinalato senza aver ancora ricevuto la tonsura, mentre il 21 giugno dello stesso anno ne ricevette una seconda che gli permise di prendere i voti fuori dal canonico periodo dei "Quattro Tempora" e senza porre intervalli tra essi; gli fu garantita una dispensa, infine, per aver partecipato ad "attività criminalibus et bellicis". Patrecipò al conclave del 1676, dal quale risultò eletto Innocenzo IX. Morì a Roma il 6 ottobre 1684, all'età di 67 anni. Le sue esequie si tennero l'8 ottobre seguente presso la Basilica di San Marco Evangelista al Campidoglio, all'interno della quale riposa tuttora.

Lapidi

Lapide di Giovanni Gambaro

Parete sud-ovest, a sinistra del monumento a Celio Rodigino, in basso. La scrittura in caratteri gotici fa intuire immediatamente l'antichità della lapide: è, infatti, la più antica fra quelle conservate nel peristilio della Rotonda, ed è datata maggio 1390. Proviene dalla cappella di S. Bartolomeo che era nella chiesa di S. Francesca, e ricorda che la cappella era stata voluta dal notaio Giovanni Gambaro.


Monumento ad Antonio Riccoboni

Parete nord-ovest, a sinistra della Targa dell'Ufficio della Santa Inquisizione. Il Monumento ad Antonio Riccoboni, che era collocato all'ingresso della cappella maggiore nella chiesa di S. Francesco, fu realizzato per iniziativa dell'abate Barnaba Riccoboni, fratello dell'estinto. Il rodigino Antonio Riccoboni (ca 1541-1599) dal 1570 alla morte fu docente di eloquenza pubblica all'Università di Padova, primeggiando fra gli studiosi di Aristotele. Dal punto di vista artistico il monumento è decisamente mediocre.





Lapide sepolcrale di Giovanni Silvestri

Parete nord, a destra della porta, in basso. Giovanni Silvestri, della più antica nobiltà locale, si trasferì a Rovigo, dalla vicina Sant'Apollinare, all'inizio del XV sec. Egli morì nel 1436; la sua lapide sepolcrale (terrigna, e perciò logorata dal calpestio) proviene dalla chiesa oggi detta "del Cristo". La scritta è ancora a caratteri gotici; al centro è lo stemma che si riscontra ancor oggi sulla porta di quello che fu il palazzo della famiglia, estinta nel 1875, alla morte del cardinale Pietro.





Monumento a Pietro Basadonna

Parete nord-est, a sinistra. Questo monumento celebrativo del podestà veneto era murato sulla facciata della chiesa S. Francesco ed è eccezionalmente sopravvissuto alla distruzione di questo genere di memorie dopo le varie guerre successe. Anche questo monumento è più interessante come testimonianza storica che come opera d'arte. Il Podestà era il titolare della più alta carica civile nel governo delle città dell'Italia centro-settentrionale durante il Medioevo. Nei secoli successivi e fino al 1918 il termine fu impiegato per designare il capo dell'amministrazione comunale, in particolare nei territori di lingua italiana soggetti al dominio dell'Impero austro-ungarico; il titolo fu ripreso durante il regime fascista con lo stesso significato. Il termine deriva dal latino "potestas", col significato di autorità, potere, sovranità. La carica di podestà, la sua durata, nonchè la residenza e il territorio di giurisdizione erano chiamati podesteria, in particolare durante il Medioevo e nei secoli successivi, più raramente durante il regime fascista. Nel periodo signorile la figura del podestà perse la maggior parte delle proprie prerogative strettamente politiche, diventando semplicemente un alto magistrato incaricato di amministrare la giustizia e di mantenere l'ordine pubblico, rispondendo direttamente del proprio operato al signore della città o al principe dello Stato regionale a cui la città apparteneva. Questa evoluzione della figura del podestà ne accentuò ancor più l'aspetto di ufficiale di professione, che si spostava di città in città, seguito dalla sua famiglia: termine con il quale si indicavano i componenti dello "staff" del podestà (il vicario, i giudici nel penale e nel civile, gli addetti al mantenimento dell'ordine pubblico, i servitori, ecc.). Il podestà veniva nominato dal signore o dal principe e solo in seguito veniva sottoposto all'approvazione, puramente formale, del consiglio cittadino; l'incarico aveva una durata, variabile da città a città, che andava da sei mesi a due anni e poteva talvolta essere rinnovato per un secondo mandato.

Meridiana
Meridiana

Percorrendo il peristilio alla destra della porta principale, subito dopo la porticina di accesso alla cantoria si può notare una lista di pietra che attraversa il pavimento dallo spigolo interno fino al pilastro dove, a tre metri e mezzo di altezza, si vede un piccolo foro che continua fino all'esterno, terminando con una fenditura verticale. Questi due elementi, il foro e la lista di pietra, costituiscono uno strumento astronomico, la meridiana, non infrequente negli edifici sacri tra il XV e il XVIII sec. Attraverso il foro entra, alla culminazione del sole intorno a mezzogiorno, un raggio di luce che genera sul pavimento un dischetto luminoso che è l'immagine del sole. Al mezzogiorno solare vero questa immagine attraversa la lista di pietra, che rappresenta il meridiano locale, e tale istante veniva utilizzato, nel passato, come riferimento astronomico per la determinazione delle ore e delle coordinate geografiche. In periodo estivo il dischetto solare si forma molto vicino al piede del pilastro, mentre andando verso l'inverno se ne allontana progressivamente fino a raggiungere la parete opposta dove la linea meridiano è stata prolungata verticalmente per consentire l'osservazione del fenomeno fino al solstizio di dicembre.